Le opere premiate:
1° classificata
I bimbi di San’a
Con felice scelta prosodica e un’accurata costruzione di immagini, la poesia ci porta in una terra lontana, consegnandoci alla bellezza e alla crudeltà della sua storia e del suo presente. Della vita dei bambini protagonisti, che “camminano già grandi” e che sono “piccoli agnelli divenuti lupi”, viene messa in risalto tutta la drammatica condizione di violenza in cui sono costretti. A tale condizione fa da contraltare il magico paesaggio naturale. Il contrasto condensato tra la bellezza del paesaggio e la dolorosa esistenza infantile è condensata nei versi “solo il rosmarino nell’orto / e mine sepolte tra l’oleandro e il grano”.
È terra di latte e miele San’a, sospesa in dorate illusioni
abbracciata dal grido stridulo del falco
bella e crudele d’azzurro, colma di melograni rossi, di rose profumate d’oriente
di bimbi snelli come sciacalli,
la pelle color cannella, il naso camuso, le labbra sottili dalla curva sprezzante
hanno il volto acceso, perso nel tempo della supplica i bimbi di San’a
figli di antiche carovane, figli di sabbie chiare
il kalashnikov al collo, i dadi truccati alla cintura
camminano già grandi, crepati dal calore del sole
solcando rughe con sciabole luccicanti
i pugnali d’argento rannicchiati in un angolo del cuore
stanno appoggiati al blu cupo della notte i bimbi di San’a
piccoli agnelli divenuti lupi
i capelli spettinati, le spalle avvezze alle intemperie
consumati dalla polvere del tempo
mai stati bimbi, nati già uomini
le grida in falsetto del muezzin che chiama alla preghiera
e solo il rosmarino nell’orto
e mine sepolte tra l’oleandro e il grano.
Muoiono così, senza luna, senza sogni, senza stelle sul soffitto della stanza
senza nessuna amore stretto in mano, consumati dalle onde
funamboli incorniciati da ali di gabbiani
i bimbi snelli come sciacalli di San’a.
Tiziana Monari
2° classificata
Ragazzi di campagna
I “ragazzi di campagna” cui fa riferimento la lirica hanno ormai visto svanire la loro adolescenza. Lo sguardo dell’autore poggia nostalgicamente su un passato durante il quale era possibile un rapporto sereno e diretto con la natura, quando la semplicità dello sguardo sul mondo permetteva di coglierne più in profondità la bellezza. L’autore affronta il tema con mano leggera e controllata.
L’infanzia ci vestì di terra e grano
e il vento ci raccolse nelle braccia
liberi i piedi all’acqua di torrente
o lungo polverose strade bianche.
Lo stupore imparammo nei tramonti
il cielo nelle fosse e il bacio d’erba
un’anima ci disse nelle cose.
In mano una fetta di pane
nell’altra una fionda
nostro fu il tempo fermo ad una conta.
E a notte c’incantò spesso la luna
che gli occhi ci leggeva fino al fondo.
Ai giorni dell’inverno le parole
scrivemmo sopra i vetri.
Mani al fuoco.
I vecchi nel silenzio della sera.
E noi incantati al guizzo di scintille
le monachine
su per il camino
in fuga a ricercare fredde stelle.
La fiamma alle pareti disegnava
sagome fluttuanti.
Tramontana
contro la porta l’urlo che annunciava
giorni di gelo e qualche volta fame.
Per noi dentro cappotti rivoltati
fu solamente tempo di bellezza.
Loriana Capecchi
3° classificata
Sottobraccio all’autunno
Il linguaggio essenziale, sempre misurato ed insieme fortemente evocativo, è la caratteristica principale della lirica, che ci trasporta all’interno di un paesaggio autunnale del quale avvertiamo l’intimo palpito e il profondo avvolgente respiro. Il lettore è così invitato a scoprire la misteriosa e commovente trepidazione che sembra muovere animali ed altri personaggi della natura.
Sottobraccio all’autunno camminiamo
sopra il tappeto di foglie di pioppi
dentro il fiato sottile della nebbia
calate in Lomellina
incontro ai giorni
delle rane nascoste nella terra
dei tramonti improvvisi
e senza rondini.
L’airone adesso è fermo nel respiro
verde della marcita
contro l’argine
della risaia si consuma il fuoco
delle stoppie
e una coppa
capovolta
di luna
versa su di noi
la sera.
Angelo Taioli
Segnalata
Dalle torri fumarie
L’autore affronta con concentrata partecipazione una significativa tematica sociale d’attualità, sottolineando la condizione di straniamento che si produce nel vedere il mondo da un’ottica diversa, dalle torri fumarie appunto, “a un passo dalla luna”, dove ci si trova “ a sventolare la dignità finita nel macero dei sogni”, a lottare per il posto di lavoro.
Quassù dalle torri fumarie adesso
è la voce dei megafoni a squarciare la valle;
i fumi sciolti nelle inutili attese,
il cielo rosso fiamma di bandiere.
È così da mesi.
Quassù non avremmo mai pensato
che fosse tanto dolce il pendio dei colli,
tanto amaro il silenzio delle sirene;
stupiscono le trine rosa dei tramonti,
nelle notti le tende preparate
sono lucciole tremule gonfie di speranze.
È così da mesi
col coltello tra i denti e la nostalgia dei figli
annidati sul cuore spento delle fonderie,
nelle malinconie dei torni, delle presse
a un passo dalla luna, nel volo dei merli.
Non avremmo mai creduto di arrampicarci
un giorno nella vertigine dei venti metri
in un ceruleo vuoto di orizzonti,
scalare metro dopo metro il cilindro dei mattoni
fino in cima nell’aria sospesa dei giorni di lavoro
a sventolare la dignità finita nel macero dei sogni.
È così da mesi
tra funi e carrucole, il saliscendi delle ceste
per la magra colazione
nello stupore delle albe, delle stelle,
nel coro delle mogli giù nei cementi del piazzale.
Quassù a un passo dalla luna
avvolti in un giro di striscioni
con la voce finita, la barba lunga
resistiamo come aquile tenaci
sopra i capannoni decisi a non mollare
il nido sottile della vita.
Carmelo Consoli
Segnalata
Di notte Madeline
L’argomento della poesia, di forte impatto emotivo, viene risolto con la musicalità di un endecasillabo dalla pacata e distesa modulazione, che finisce per mettere ancora più in risalto la tragica realtà raccontata.
Al buio, con la falce della luna, tra i flutti, in mare aperto, su un gommone,
è nato a Madeline il suo bambino,
proprio nel cuore freddo della notte.
Non sorge la cometa all’orizzonte.
Appare solo un faro in lontananza.
La luce sfilacciata, nella nebbia
che avvolge il molo prima del mattino,
si frange e incerta annega a pelo d’acqua
col cuore dei natanti alla deriva
che vedono soltanto il naufragare.
Han sete tutti e freddo e tanto sonno,
tra i languidi riflessi delle onde
che esalano zaffate di salmastro
a ridestare il senso di un approdo
per un carname sfatto tra gli stenti.
Ronza il motore ancora e perde colpi,
come carretta vecchia e navigata
che fa la spola per Pantelleria,
da inferni dove dura è l’esistenza
e stare al mondo è un puro terno al lotto
giocato, se sei femmina, alla riffa
e in tutti gli altri casi sulla sorte.
Non vengono pastori, nè Re Magi.
Qualcosa di dorato s’intravede:
è una coperta termica, stagnola,
che tenga ora al riparo della notte
e avvolga, come un buon cioccolatino,
il bimbo stretto al cuore di Madeline.
Elena Malta
Prima classificata, sezione giovani.
“L’ombra dell’autismo” di Giorgia Spurio, si caratterizza per una dizione poetica dura e asciutta, controllata rigorosamente nella scansione di un verso che slitta dal novenario all’endecasillabo irregolare. La musica è ricca di allitterazioni ed altre figure di suono che contribuiscono a creare il ritratto cupo, angoloso, ma non spento di una situazione difficile di attesa.
Dondolo appeso tra sogni e nuvole,
tra perle di collane incastonate da pensieri,
nel cosmo che mi chiude il petto
e mi prende il sorriso.
- Non – urlo,
mordo ai pugni dell’indifferente gente,
suono per sorde note
e mute margherite
da regalare al vaso del mio incolore mondo.
È un ritratto che non guardo,
lo specchio sembra un gatto
senza smorfie né miagolio
per il mio lontano udito.
E i muri… riflettono l’ombra del mio autismo…
Il torpore invade fino alla paralisi,
e i suoi assenti corrodono come denti
roditori senza sosta nella mente.
Spegnete il buio.
Mi arrampico, su, verso noci in fiore,
verso silenzi da infrangere,
ancora più su, verso i nidi delle rondini,
verso i soffitti che confinano con la realtà,
e creerò di porcellana
di rosso come i papaveri
e d’oro come i girasoli
le comete –dei desideri-
tra le mie dita.
Giorgia Spurio
Seconda classificata, sezione giovani
“Notturno” di Andrea Bonfiglio, con quello sgranarsi di cinque terzine che, cinematograficamente, sbalzano un paesaggio notturno, si incide in modo nitido nella mente, aiutato da un fraseggio sapiente e controllato. Ogni terzina inquadra un aspetto della vita e chiude il suo universo in modo netto ed evidente.
S’arrampica il sentiero sul pendio
mentre s’impiglia già la mezza luna
all’unghia del cipresso, oltre la siepe.
Fra le campagne d’orti ricamate
inermi stanno eserciti di viti,
più in là silenti ondeggiano trifogli.
Il passo del Grecale è sulla ghiaia,
com’è nell’aria il fiato dei frantoi
e l’eco di vendemmie ormai mature.
Si sbracciano gli ulivi sui declivi
protesi a valli cariche di lumi,
sciami confusi di lucciole tremanti.
Al davanzale è lieto l’indugiare
del guardo arreso a boccoli di stelle,
scintille d’una notte senza fine.
Andrea Bonfiglio